giovedì 28 aprile 2016

La finta guerra della politica alla corruzione


Gli echi dello scontro fra Renzi e Davigo non si erano ancora spenti che l'ennesima tegola è caduta sul Partito Democratico e su uno dei sui maggiori esponenti, il presidente del partito in Campania. Ecco allora che tutte le parole spese contro i magistrati di Matteo Renzi, in perfetto stile berlusconiano tanto per non smentirsi, sembrano solo l'ennesimo attacco contro chi, la magistratura, ci prova in tutti i modi a combattere la corruzione nel sistema politico italiano e purtroppo non ci riesce. I motivi sono molteplici, non ultimo un senso civico totalmente assente nel paese che sembra ormai assuefatto a questi scandali che si susseguono uno dietro l'altro, ma anche una sudditanza ormai endemica della politica dalle mafie ed organizzazioni criminali che bene o male sono portatrici di voti e garantiscono il raggiungimento prima ed il mantenimento poi del potere. Dopo tangentopoli ci avevano fatto credere che uno dei principali motivi della corruzione in politica era dovuta al sistema delle preferenze che rappresenteva il motore del voto di scambio nelle elezioni politiche. Il boss mafioso o il camorrista garantivano il numero di voto essenziali per l'elezione del politico di turno che successivamente favoriva le attività illegali dello stesso boss portatore di voti. Le preferenze furono prima ridotte da tre ad una e poi tolte definitivamente con l'introduzione del sistema maggioritario nella legge elettorale (1994). Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Attualmente quindi per il parlamento i candidati sono scelti dagli stessi partiti, mentre per le varie amministrative ancora si procede con il voto di preferenza. Ma la corruzione non è di certo stata debellata, semplicemente ha cambiato natura. Prima degli anni 90 il politico agiva per favorire il proprio partito, oggi semplicemente agisce per proprio tornaconto. E' dimostrato quindi che non è la legge elettorale od il sistema delle preferenze ad agevolare la corruzione ma piuttosto questa è insita nel detentore del potere a prescindere. Oggi quindi sono sotto accusa i partiti e le modalità con le quali gli stessi reclutano i propri candidati. Spesso quando un politico viene beccato con le mani nel sacco si ricorre subito alla giustificazione del "Non ne sapevamo niente" ma anche questa scusa non regge. Basta portare come esempio l'ultimo caso quello del presidente del Pd della Campania, Stefano Graziano. Ecco la sua carriera politica: Già leader dei Giovani DC, poi militante del Ppi che abbandonò quando Castagnetti decise di dar vita alla Margherita (per Graziano troppo di sinistra), decise quindi di passare nel centrodestra di Berlusconi aderendo al Ccd di Casini e poi all'Ucd di Buttiglione per poi finalmente approdare al Pd. Ora quali garanzie poteva dare un politico come questo pronto a cambiare maglia, bandiera e anche canottiera appena possibile ? La guerra vera alla corruzione si fa fin dal reclutamento dei propri iscritti prima ancora di dare loro incarichi o di inserirli in liste di qualsiasi natura, facendo crescere il politico all'interno del partito dove dovrebbe fare la classica gavetta prima di arrivare a fare Politica vera. Certo in passato, quando i partiti erano dei veri partiti e non delle semplici organizzazioni padronali, anche questa modalità ha dato segnali sconcertanti ma senza arrivare ai livelli di corruzione attuali dove il politico è più che altro un mercenario pronto a cambiare squadra al miglior offerente. Tanto più che la squadra non si preoccupa nemmeno di controllare le capacità e la storia di chi di volta in volta si appresta a ingaggiare.

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