mercoledì 20 aprile 2016

Renzi schiuma e si scaglia contro tutti soprattutto contro la giustizia


Ieri Renzi sembrava un circondato da giustizia, giornali e rete che per difendersi ha iniziato a brandire la sua spada colpendo a destra e a sinistra senza fare distinzioni. Anche contro la rete impersonificata nei social network cioè gli strumenti principe attraverso i quali solitamente fa i suoi annunci anche prima di avvisare i i ministri del suo governo. Si capiva che era fuori dalla ragione ed era comprensibile poverino: ci sono circa 16 milioni di italiani che non seguito il suo categorico "Non andate a votare" e c'è un parlamento che lo sfiducia ogni tre per due. Insomma c'è da capirlo, non basta l'amore del padre putativo per tranquillizzarlo, anche perché quel padre ha ordinato ai suoi di appoggiare la sfiducia. Ma il buon Matteo sa benissimo che la sfiducia di Forza Italia è solo una messa in scena dato che la sfiducia stessa non passerà mai, e lui lancia i suoi messaggi di gratitudine all'ex cavaliere attaccando a mani basse la giustizia come forse nemmeno Berlusconi aveva mai fatto. Anche lui conferma che c'è in atto uno scontro fra politica e giustizia uno scontro in atto da 20-25 anni durante i quali il paese ha conosciuto "pagine di autentica barbarie legate al giustizialismo". In effetti lo scontro è iniziato quando finalmente la giustizia iniziò a mettere le mani in quel grande vaso di pandora che era la corruzione politica. Negli anni 70-80 ovunque si parlava di come fosse complicato per un imprenditore fare affari con la pubblica amministrazione: nei bar, per strada, nei luoghi di lavoro tutti sapevano che c'era un pizzo da pagare agli amministratori di un comune, provincia o regione anche solo per partecipare ad una gara. Qualcuno pensava che si trattasse di favole metropolitane fino a quando non arrivò mani pulite e mise mano a quel diffuso malcostume. Ecco da quel momento politica e giustizia hanno iniziato una lotta senza quartiere. Da una parte la giustizia che fa, ahimè, il proprio lavoro andando a indagare dove c'è da indagare, distribuendo avvisi di garanzia, e a volte, poche a dire la verità, arrivando a condanna definitiva di politici senza scrupoli. Dall'altra c'è la politica che non si arrende e continua a gestire il potere anche attraverso la corruzione che nel frattempo ha cambiato connotati: mentre prima degli anni 90 gli introiti della corruzione finivano nella casse del partito di appartenenza del politico in questione, oggi gli stessi introiti vanno in tasca del singolo politico (anche questa una consequenza della fine dei partiti intesi come tali ma diventati delle associazioni al servizio di un singolo padrone). Poi sono arrivate le intercettazioni e lo scontro si è fatto ancora più duro ma ancora una volta per un solo motivo principale: il politico non rinuncia alla corruzione, se non ci fossero politici corrotti non ci sarebbe alcun scontro con la magistratura. Ma il buon Matteo preferisce scagliarsi contro la magistratura piuttosto che contro la corruzione ed anche lui fa il finto garantista. Si perché tutti siamo garantisti e nessuno intende considerare colpevole chicchessia prima del terzo grado di giudizio, ma dal punto di vista politico il discorso è diverso qui non c'è garantismo ma c'è solo opportunità politica e morale. La politica deve usare le prove della magistratura, intercettazioni comprese, non per giudicare ma semplicemente per fare valutazioni politiche e decidere se un politico indagato o anche semplicemente sospettato o anche semplicemente scoperto a fare conversazioni con contenuto discutibile, possa continuare a svolgere la propria attività. Un politico è un uomo pubblico che decide e emana legge che regolano la vita privata dei cittadii ed il cittadino allora ha tutto il diritto di sapere se chi regola la sua vita ha un comportamento in linea con le stesse regole. Il problema non è la giustizia o l'intercettazione telefonica, il problema è il politico che non ha la consapevolezza del ruolo che occupa.

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