domenica 16 agosto 2020

20-21 Settembre 2020: non c'è due senza tre

 


Nel breve periodo di 15 anni i cittadini italiani sono chiamati per la terza volta a respingere l'attacco della politica italiana alla democrazia ed alla rappresentatività popolare. Prima nel 2006 e poi nel 2016 il voto popolare ha respinto le riforme proposte prima da Berlusconi e poi da Renzi, il prossimo mese ci sarà da rimandare al mittente una riforma più pericolosa, peggiore, scritta in maniera ancora più approssimativa ma caldeggiata da quasi tutto l'arco costituzionale da destra a parte della sinistra (o presunta tale). Per certi versi le riforme di berlusconiana e renziana memoria era migliori di quella attuale: entrambe miravano alla riduzione dei parlamentari ma avevano dalla loro parte anche un ridisegno delle istituzioni, dei loro poteri e dei loro compiti. Berlusconi mirava ad avere un vero premier (termina utilizzato in maniera inappropriata oggi per indicare il Presidente del Consiglio) con addirittura il potere di sciogliere le camere, un vero disastro se calato per esempio nella situazione odierna. L'ex cavaliere non credeva fino in fondo in quella riforma spinta soprattutto dalla Lega Nord ed infatti Silvio la portò alle lunghe facendola approvare alla fine della legislatura in modo da non avere conseguenze dirette sul suo governo quando il voto popolare la respinse. La riforma renziana mirava anche quella alla riduzione del parlamentari e prevedeva anche quella una rivisitazione dei compiti si Senato e Camera ma Renzi, meno intelligente di Berlusconi dal punto di vista politico, fece due errori: il primo di cancellare il voto popolare per l'elezione del Senato il secondo di metterla sul piano personale promettendo ai quattro venti di uscire dalla politica se avesse perso il referendum. Naturalmente il voto popolare vide uniti la destra, che ce l'aveva a morte con Renzi, e la sinistra che era stata di fatto estromessa dal Partito Democratico e dal governo e così anche quella riforma fu per fortuna rigettata. Ed eccoci dopo nemmeno 4 anni ad un nuovo referendum per decidere su una riforma, la peggiore delle tre, che prevede semplicemente il taglio dei parlamentari senza nessun altro contrappeso per garantire il livello attuale di democrazia. Non si rivedono i compiti di camera e senato, non si rivede la legge elettorale, non si rivedono i collegi elettorali, l'unica motivazione che si riesce ad addurre a giustificare la riforma è la minore spesa. Un risparmio che si quantifica in circa un caffè al giorno per ogni italiano e che potrebbe essere maggiore semplicemente riducendo gli stipendi dei parlamentari di cifre irrisorie: 3000 euro per i senatori e 2000 per i deputati. Si riduce la spesa ma a quale prezzo ? Il prezzo di ridurre il numero dei parlamentari rendendo il parlamento meno incisivo rispetto al governo e soprattutto mettendolo in mano direttamente ai partiti che in questo modo avranno un controllo maggiore sull'attività parlamentare. Senza contare poi che interi territori del paese perderanno la loro rappresentatività nelle istituzioni. Si prende ad esempio la recente vicenda dei bonus 600 euro richiesti e percepiti da alcuni parlamentari per giustificare questo taglio affermando che in questo modo nel parlamento ci saranno meno persone di un simile squallore. Naturalmente non è una garanzia fittizia e non reale. Il parlamento italiano ha bisogno di una maggiore qualità e non certo di un numero minore di parlamentari, qualità che può essere aumentata scegliendo la strada di sottrarre ai partiti la scelta dei propri candidati da mandare in parlamento. I parlamentari devono essere scelti dai cittadini attraverso le preferenze in modo che possano rispondere direttamente ai loro elettori e non alle segreterie dei partiti. Non dobbiamo chiedere di ridurre la rappresentanza ma di aumentarne la qualità e questo si può ottenere solo lasciando al cittadino la possibilità di decidere chi mandare ad occupare quelle "poltrone" così importanti per la vita democratica: ridurre tutto ad una questioni di costi è un conto della serva che non può essere un principio per regolare la democrazia in un paese civile.

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