sabato 23 gennaio 2021

E' chiaro che ne usciremo ma certamente non migliori

 

Un anno fa quando iniziò la pandemia ed il virus arrivò in Italia costringendo il paese rinchiudersi in casa, il grido di battaglia e di speranza era: Ne usciremo migliori. Oggi possiamo dire che, almeno nel nostro paese, quando ne usciremo non saremo certo migliori. 
Tutti i problemi ormai cronici sono diventati drammatici, ad iniziare dalla sanità per finire alla scuola ed ai trasporti, mentre la politica ha mostrato e continua a mostrare il peggio di se. E' probabile che l'epidemia sia arrivata quando a capo del governo avevamo ed abbiamo l'uomo meno peggio del panorama politico, ma per tutto il resto la politica sia a livello nazionale che regionale ha messo in luce debolezze, contraddizioni e soprattutto molta distanza dai problemi reali e urgenti da risolvere. Si è affrontato forse in maniera adeguata solo il contrasto al diffondersi dell'epidemia con numeri che sostanzialmente sono in linea con gli altri paesi europei, anche se parlare di numeri quando si tratta di morti può sembrare svilente e poco opportuno. Il compito è stato arduo per diversi motivi, due su tutti. Da una parte un'opposizione scellerata e spregiudicata che ha utilizzato qualunque mezzo (dai bambini, ai morti, alle fake news) per andare non solo contro al governo ma anche contro a se stessa pur di mostrarsi contraria a prescindere: il governo non chiudeva e l'opposizione voleva chiudere, il governo chiudeva e l'opposizione voleva aprire, il governo allentava e l'opposizione voleva stringere e via dicendo. I leaders come Salvini e Meloni hanno purtroppo trovato sponda anche in una parte (ristretta per fortuna) del mondo scientifico arrivando perfino ad organizzare un convegno negazionista dentro le istituzioni. L'altra difficoltà è stata la continua contrapposizione fra regioni e governo centrale, una contrapposizione spesso inopportuna e guidata da un unico tema: mantenere ed aumentare il consenso da parte dei presidenti di Regione. Una contrapposizione che ha portato a volte anche a scontri con tanto di coinvolgimenti dei tribunali amministrativi per dirimere questioni quasi sempre sulla pelle dei cittadini. Mentre in altri paesi quindi maggioranza e opposizione, governo centrale e governi periferici mettevano da parte contrapposizione per lavorare insieme nel fronteggiare l'epidemia, in Italia l'epidemia era ed è utilizzata per lo scontro politico. Fino allo scontro che si sta consumando in questi giorni e che rischia di portare il paese ad elezioni anticipate. 
Uno scontro ancora una volta mosso da interessi personali e da un personaggio come Matteo Renzi che di danni nel paese ne ha già fatti parecchi. Il ritiro dei due ministri ma non la sfiducia al governo (solito comportamento ambiguo del giovanotto di Rignano) hanno dato vita da una crisi istituzionale ed allo stesso tempo al solito ed ormai arcinoto cambio di casacche e magliette da parte dei parlamentari. Altro cancro della nostra democrazia parlamentare. Migrazioni continue fra gli schieramenti e la contrapposizione fra chi intende far cadere il governo e chi intende sostenerlo ed evitare di andare a casa. E naturalmente le solite accuse da una parte e dall'altra di alimentare il mercato delle vacche. Peccato che poi tutti partecipino o abbiano partecipato in passato a questo mercato. Il centro destra che insorge per esempio fa solamente ridere se si pensa agli "investimenti" di Berlusconi per "comprare" senatori e far cadere il governo Prodi. Insomma coloro che protestano oggi sono quelli che ieri mercanteggiavano voti, coloro che mercanteggiano oggi sono quelli che protestavano ieri. Ed in mezzo al solito caos politico anche il "nuovo" che avrebbe dovuto scardinare il sistema alla fine è stato stritolato dal sistema stesso. Purtroppo la situazione attuale è grave per l'epidemia, per le conseguenze economiche, per i fondi europei che rischiamo di perdere ed al solito i primi a finire nel tritacarne sono a saranno i cittadini. Ma i cittadini dovrebbero anche svegliarsi e appena possibile pretendere davvero alcune riforme indispensabili ormai alla sopravvivenza della nostra democrazia. Due su tutte. Chi entra in parlamento e che intende cambiare partito o addirittura dar vita ad un nuovo partito liberissimo di farlo ma dopo essersi dimesso. Togliere alle regioni competenze su servizi essenziali come sanità, trasporti, comunicazioni e scuola.

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