mercoledì 15 febbraio 2017

Il PD nato per morire: Renzi l'esecutore materiale che mancava.


Che il Partito Democratico fosse un partito nato per morire era già noto fin dalla sua nascita, salutata dalla morte prematura del governo Prodi. Un partito messo in piedi con il solo obiettivo di raccogliere voti senza un progetto comune da persguire, un progetto che sarebbe stato impossibile mettere a punto con personaggi come D'Alema, Veltroni, Binetti, Rutelli e chi più ne ha più ne metta. Un partito senza un'anima che esordiva, dopo la caduta del governo Prodi, con una sconfitta sonora alle elezioni, grazie anche al ripudio della sinistra che non era salita sul carrozzone, e riconsegnava il paese al centro destra guidato da Berlusconi. Un partito che dopo pochi mesi ha iniziato a perdere qualche pezzo, soprattutto a destra, e che è arrivato ad una non vittoria alle elezioni del 2013 grazie soprattutto ad un Berlusconi ormai sul viale del tramonto. Arrivato bene o male a guidare un governo con Letta si è ritrovato a consegnarsi ad un rampante giovanotto, Matteo Renzi, che guadagna la segreteria con un progetto chiaro: andare a prendere i voti a destra e quindi spostare ulteriormente l'asse del partito verso quell'aera. Un progetto iniziato subito dalle primarie per le quali ottenne una modifica del regolamento per consentire il voto a chiunque anche ai non iscritti al partito stesso. Gli elettori di centro destra sono stati determinanti per la elezione dei Renzi a segretario e lui, appena diventato segretario, ha subito sfiduciato il governo Letta per prenderne il posto. E' iniziata da quel momento la strategia di Renzi di tirare il PD verso l'aera centrista strabordando ogni tanto verso destra (come in occasione dell'approvazione della riforma del lavoro). La scissione vera e propria è iniziata in quel momento con Matteo Renzi al governo che si è messo a tirare da una parte, appoggiato da una fitta schiera di saltatori sul carro del vincitore, mentre una più esigua schiera di dissidenti puntava i piedi su ogni iniziativa del segretario nonostante poi finisse per votare a favore nelle aule parlamentari. Qualcuno più coerente degli altri ha iniziato a scendere da quel carrozzone che ormai perdeva pezzi anche a sinistra e che veniva traghettato su percorsi totalmente opposti a quelli del programma attraverso il quale bene o male Bersani aveva vinto di misura le elezioni. Il progetto renziano andava via via prendendo corpo ed ora, dopo che tutte le presunte riforma renziane (sulle qualo il partito è sempre stato diviso) sono state smontate una per una, forse si è arrivati allo strappo finale per recidere quel filamento che ancora resiste. Renzi, pur dimettendosi da presidente del consiglio (un partito che sta al governo e che per ben due volte mette in crisi il governo stesso può essere un partito affidabile ? e soprattutto può definirsi un partito ?), dimostra tutta la sua arroganza anche in queste ore disconoscendo i propri fallimenti e additando coloro che lo hanno sempre criticato come i responsabili di una eventuale scissione. Ora forse si è arrivati alla resa dei conti che ancora una volta avverrà a spese del paese, si perché così come nel 2006, incuranti della debolezza del governo Prodi, Veltroni e company si dedicarono alla nascita del Pd, oggi Renzi e soci, incuranti della debolezza del governo Gentiloni e della situazione ciritica in cui versa il paese, si dedicano a redimere le lotte interne. Quando il Partito Democratico si scioglierà sarà sempre troppo tardi.

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