Il referendum abrogativo è uno strumento di esercizio della sovranità popolare ed è uno strumento di democrazia diretta perchè permette agli elettori di esprimere direttamente il proprio volere su un tema specifico.
Per poter esprimere un giudizio quanto più consapevole possibile sui temi oggetto di referendum abrogativo è necessaria un’adeguata informazione. A questo scopo sono state scritte le righe che seguono.
Il 12 e il 13 giugno gli elettori sono chiamati ad esprimersi sui seguenti quattro quesiti referendari:
1) Abrogazione di norma sulle Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica.
2) Abrogazione parziale di norma sulla determinazione della tariffa del servizio idrico integrato
in base all’adeguata remunerazione del capitale investito.
3) Abrogazione parziale di norme sulle Nuove centrali per la produzione di energia nucleare.
4) Abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento
del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale, quale
risultante a seguito della sentenza n. 23 del 2011 della Corte Costituzionale.
1) Con il quesito n. 1 si chiede la cancellazione (abrogazione) dell’articolo 23-bis della legge 133 del 2008, come modificato in particolare dalla legge 166/2009, nota come “decreto Ronchi”, sulla modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Il quesito riguarda i servizi pubblici locali di rilevanza economica (acqua, rifiuti, trasporti locali), ad eccezione dei settori esclusi (distribuzione di gas naturale ed energia elettrica; gestione delle farmacie comunali; trasporto ferroviario regionale). Tra i servizi pubblici locali di rilevanza economica c’è dunque il servizio idrico integrato oggetto della campagna referendaria. Esso è costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua per usi civili, di fognatura e depurazione delle acque reflue.
Per capire meglio la portata del quesito referendario n. 1 occorre ricordare che il servizio idrico
locale è stato di recente interessato da due riforme.
I) La prima riforma, introdotta dalla legge n. 166/2009 (di conversione del D.L. n. 135/2009, cosiddetto “Decreto Ronchi”), ha riguardato le modalità di conferimento della gestione dei servizi
a) in favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica (ovvero tramite gara);
b) in favore di società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del
socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica (ovvero tramite gara), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio privato sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento. Sono affidamenti in deroga, dunque eccezionali e giustificati sulla base di “situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato”e sottoposte ad autorizzazione da parte dell’Autorità garante del mercato;
c) quelli a società a capitale interamente pubblico, partecipata dall’ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione in house. Viene poi previsto anche un regime transitorio per i servizi pubblici locali di rilevanza economica a seconda che si tratti di affidamento in house, di affidamenti a società miste e di affidamenti a società a partecipazione pubblica quotate in borsa.
Per capire meglio la portata del quesito referendario n. 1 occorre ricordare che il servizio idrico
locale è stato di recente interessato da due riforme.
pubblici locali, tra i quali quelli idrici. Non riguarda quindi la privatizzazione delle risorse idriche e
delle infrastrutture idriche che rimangono di proprietà pubblica. La legge 166/2009 ha modificato l’art. 23 bis della legge 133 del 2008. Nella nuova formulazione l’art. 23 bis distingue tra forme di affidamento “in via ordinaria” ed “in deroga”. Le modalità di affidamento in via ordinaria sono: a) in favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica (ovvero tramite gara);
b) in favore di società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del
socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica (ovvero tramite gara), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio privato sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento. Sono affidamenti in deroga, dunque eccezionali e giustificati sulla base di “situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato”e sottoposte ad autorizzazione da parte dell’Autorità garante del mercato;
c) quelli a società a capitale interamente pubblico, partecipata dall’ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione in house. Viene poi previsto anche un regime transitorio per i servizi pubblici locali di rilevanza economica a seconda che si tratti di affidamento in house, di affidamenti a società miste e di affidamenti a società a partecipazione pubblica quotate in borsa.
L’art. 23 bis riduce drasticamente, dunque, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house che sono attualmente quelle prevalenti in Italia, imponendo invece l’affidamento a gara e l’ingresso del socio privato (mediante gara) nelle società pubbliche. Si ricorda, peraltro, che la sentenza n. 325 del 2010 della Corte Costituzionale ha affermato che l’affidamento in house del servizio idrico integrato, come di altri servizi pubblici a rilevanza economica, è invece compatibile con l’ordinamento europeo.
Il fine del quesito n. 1 è di escludere l’applicazione dell’articolo 23-bis (come risultante dalle modifiche della L. 166/2009), che limita, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house dei servizi pubblici locali di rilevanzaeconomica (acqua, rifiuti, trasporti locali).
Il fine del quesito n. 1 è di escludere l’applicazione dell’articolo 23-bis (come risultante dalle modifiche della L. 166/2009), che limita, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house dei servizi pubblici locali di rilevanzaeconomica (acqua, rifiuti, trasporti locali).
II) La seconda riforma riguardante i servizi idrici è stata introdotta dalla legge n. 42/2010 che ha previsto la soppressione, poi prorogata al dicembre 2011, delle autorità d’ambito (cioè quei soggetti pubblici costituiti tramite convenzioni o consorzi di comuni che hanno il compito di organizzare, affidare e controllare la gestione del servizio) e contemporaneamente l’identificazione di nuovi soggetti cui demandare l’organizzazione e il controllo della gestione del servizio idrico locale. Le Regioni, in assenza di ulteriori indicazioni normative, sono quindi libere di decidere l’assegnazione delle funzioni a Province o comuni oppure a enti posti a livello regionale, o di studiare altre opzioni.
2) Con il quesito n. 2 si chiede la cancellazione (abrogazione) di un’inciso del comma 1 dell’articolo 154 del decreto legge 152 del 2006 che riguarda la determinazione delle tariffe del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Il comma citato attualmente in vigore stabilisce che “la tariffa del servizio idrico integrato è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell’Autorità d’ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”. Tutte le quote citate della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo”. A questo proposito, la Corte Costituzionale ha precisato nella sentenza n. 26 del 26 gennaio 2011 che il servizio idrico integrato è un servizio a rilevanza economica, cioè deve essere svolto con metodo economico, ovvero secondo il principio della copertura dei costi mediante i ricavi. Essenziale, quindi, secondo questa interpretazione è la sola copertura dei costi. Pertanto, secondo la Corte Costituzionale, il carattere remunerativo della tariffa, ovvero la remunerazione del capitale investito, non può essere definito elemento caratterizzante la nozione di «rilevanza» economica del servizio idrico integrato.
In caso di esito positivo del referendum (quesito n. 1), verrebbe cancellato l’articolo 23-bis della legge 133 del 2008, come successivamente modificato, e si applicherebbe immediatamente nell’ordinamento italiano la normativa comunitaria (meno restrittiva rispetto a quella oggetto del
referendum) relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici locali di rilevanza economica.2) Con il quesito n. 2 si chiede la cancellazione (abrogazione) di un’inciso del comma 1 dell’articolo 154 del decreto legge 152 del 2006 che riguarda la determinazione delle tariffe del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Il comma citato attualmente in vigore stabilisce che “la tariffa del servizio idrico integrato è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell’Autorità d’ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”. Tutte le quote citate della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo”. A questo proposito, la Corte Costituzionale ha precisato nella sentenza n. 26 del 26 gennaio 2011 che il servizio idrico integrato è un servizio a rilevanza economica, cioè deve essere svolto con metodo economico, ovvero secondo il principio della copertura dei costi mediante i ricavi. Essenziale, quindi, secondo questa interpretazione è la sola copertura dei costi. Pertanto, secondo la Corte Costituzionale, il carattere remunerativo della tariffa, ovvero la remunerazione del capitale investito, non può essere definito elemento caratterizzante la nozione di «rilevanza» economica del servizio idrico integrato.
In caso di esito positivo del referendum (quesito n. 2), verrebbe cancellata la parte“dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito” dell’art. 154 del Decreto Legislativo n. 152/2006, così escludendo che la tariffa sia calcolata anche tenendo conto del profitto del gestore. Rimarrebbe fermo solo il principio della copertura dei costi di investimento e di esercizio, rendendo estraneo alle logiche del profitto il governo e la gestione dell’acqua.
3) Con il quesito n. 3 si chiede la cancellazione (abrogazione) delle norme che permettono la realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare. La sorte di questo quesito è per ora sospesa, dal momento che il Senato ha approvato in data 20 aprile 2011 l’inserimento in un decreto-legge, cosiddetto “decreto omnibus”, di un emendamento col quale verrebbero abrogate tutte le norme oggetto del quesito referendario e farebbe quindi venir meno i presupposti del quesito stesso, ma anche su questo per ora non c’è chiarezza (L’emendamento recita: “al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche, mediante il supporto
dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, sui profili relativi alla sicurezza nucleare, tenendo conto dello sviluppo tecnologico in tale settore e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione europea, non si procede alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare”). Dopo l’approvazione del Senato, spetta ora alla Camera approvare a sua volta l’emendamento inserito nel decreto, che dovrà poi essere promulgato dal Presidente della Repubblica. Dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, si dovrà esprimere la Corte di Cassazione per esaminare le novità e decidere in merito al quesito referendario sul nucleare. L’ufficio centrale per i referendum presso la Corte di Cassazione potrebbe anche infine investire della questione la Corte Costituzionale. Dunque, per il momento, il quesito referendario sul nucleare resta ancora valido e dipenderà dalla Corte di Cassazione (ed in ultima eventuale istanza dalla Corte Costituzionale) deciderne il destino4) Con il quesito n. 4 si chiede di cancellare (abrogare) la legge n. 51 del 7 aprile 2010 “Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza”. Tale legge, costituita da un solo articolo, prevede per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per i Ministri che l’esercizio delle attività previste dalle leggi e dai regolamenti (cioè tutte le attività istituzionali), nonchè di ogni attività comunque coessenziale alle funzioni di Governo, costituisce legittimo impedimento a comparire nelle udienze dei procedimenti penali in cui sono imputati. I giudici in base a questa legge sono obbligati ad accettare la richiesta di legittimo impedimento e rinviare il processo ad altra udienza. L’impedimento si applica anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado. La sorte di questo quesito era rimasta sospesa per la sentenza della Corte Costituzionale n. 23 del 13 gennaio 2011. La Corte Costituzionale pronunciandosi sulla legittimità costituzionale della legge n. 51 del 7 aprile 2010, aveva infatti dichiarato, per violazione degli artt. 3 («tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, ...») e 138 (che prevede una procedura rafforzata per l’approvazione delle revisioni costituzionali) della Costituzione, l’illegittimità dell’art. 1, comma 4, della legge n. 51/2010 relativo all’ipotesi di impedimento continuativo e attestato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, e l’illegittimità dell’art. 1, comma 3, nella parte in cui non prevede che il giudice valuti in concreto l’impedimento addotto. A seguito della sentenza della Corte Costituzionale, l’Ufficio Centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione ha stabilito, con ordinanza del l febbraio 2011, che il referendum sul legittimo
impedimento debba esser comunque effettuato e il quesito referendario riformulato tenendo presente quanto deciso dalla Corte Costituzionale, ovvero l’illegittimità costituzionale di alcune norme e l’interpretazione di altre norme della legge 7 aprile 2010, n. 51.In caso di esito positivo del referendum, verrebbero quindi cancellate le norme della Legge n. 51 del 7 aprile 2010 che non sono state ritenute illegittime dalla sentenza n. 23/2011 della Corte Costituzionale.
(a cura di MariachiaraAlberton - Ricercatrice)
(a cura di MariachiaraAlberton - Ricercatrice)
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