In queste ore tutti parlano, tutti si pronunciano, chi per il si, chi per il no, chi si astiene perchè la politica non deve sostituirsi al sindacato, chi prende posizione perchè Marchionne investe e crea opportunità di lavoro, chi sta con gli operai e va ai cancelli di Mirafiori, chi dovrebbe scioperare e lo fa in ritardo oppure non lo fa proprio, ma in tutto questo vociare i veri protagonisti sono essenzialmente due. Il primo è Marchionne che tiene in scacco il paese intero ed occupa quegli spazi lasciati liberi in questi mesi dalla politica prendendo l'iniziativa a danno dei lavoratori, il secondo è il governo, l'unico attore che potrebbe salvaguadare Mirafiori senza ledere i diritti dei lavoratori. Mentre tutti disquisiscono sui risultati del referendum, i lavoratori della Fiat, gli unici che avrebbero il diritto di dire la loro in qualità di unico attore veramente a rischio, sono per assurdo lasciati completamente soli, abbandonati anche dai loro sindacati. Il governo Berlusconi aveva dato nei mesi precedenti una notevole spallata all'unità sindacale con accordi capestro ai quali la sola CGIL aveva avuto la forza di sottrarsi, Marchionne oggi ha di consequenza trovato terreno fertile per proporre accordi che portano l'Italia indietro nel tempo nel settore dei diritti dei lavoratori. Si è scavata una fossa difficilmente ricomponibile fra Cisl, Uil da una parte e CGIl dall'altra dando vita ad una lotta fra poveri, lotta che non potrà che essere aggravata qualunque sia il risultato del referendum. Questo è di fatto il risultato più eclatante e disastroso di quasi tre anni di governo Berlusconi, un risultato senz'altro atteso ma che si sperava di evitare grazie se l'azione di contrasto dell'opposizione fosse stata di una qualche efficacia. Purtroppo il più garnde partito di opposizione, il Partito Democratico, uscito dilaniato dalle sconfitte elettorali subite dal 2008 in poi, ha impiegato questi tre anni alla ricerca di una propria identità ed una propria connotazione ancora molto lontana dall'essere raggiunta. La vicenda Fiat ne è una chiara dimostrazione. Ai tempi del Partito Comunista, il segretario di quel partito in occasioni delle dure lotte sindacali, si presentava ai cancelli della Fiat a dare manforte e sostegno morale agli operai della più grande industria italiana. Oggi i dirigenti del PD si presentano con posizioni le più disparate: si va dai chi appoggia incondizionatamente il no pur sostenendo l'autodeterminazione degli operai (Finocchiaro), ad una imabarazzante astensione con la giustiticazione che un partito politico non deve fare sindacato (D'Alema) come se le sorti della più grande industria italiana non rappresentassero una questione politica, fino ad arrivare a chi sostiene incondizionatamente il si (Renzi) appoggiando la politica sfruttatrice di Marchionne. Sta qui tutta la contraddizione di una partito che rappresentava un clamoroso bluff fin dalla sua nascita. In questo clima di contraddizzioni e di incapacità sia di governare sia di contrastare l'azione di un governo che sta riportando indietro il paese in ogni settore della vita produttiva, culturale e sociale, Marchionne ha preso l'iniziativa e si appresta a ricoprire il ruolo del vecchio capitalista con il vantaggio di non investire propri capitali e di guadagnare cifre da capogiro a rischio zero.
martedì 11 gennaio 2011
Il paese sotto scacco di un manager miliardario
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