venerdì 14 febbraio 2020

La maledizione di chiamarsi Matteo


In queste ore, ma ormai da qualche giorno, l'altro Matteo, quello di Rignano, è impegnato nel suo personale show autocelebrativo e come al solito buffonesco e spavaldo. Era il 3 febbraio quando Matteo Renzi davanti alle telecamere di La7 dichiarava e "rassicurava": "Giuseppe Conte premier fino al 2023". Si narra che il buon Conte abbia prontamente portato la mano destra sulle parti basse mentre con la sinistra abbracciava un palo segnaletico in ferro di ottima qualità. Le dichiarazioni di questo tono del bullo di Rignano sono ben note come sono ben note le conseguenze. Si va dall'art. 18 che non era un problema, al famoso Enrico stai sereno, al referendum che non doveva essere un fatto personale, fino al ritiro dalla politica in caso di sconfitta referendaria. Ed invece eccoci ancora qua a parlare della gesta del signor 40%. Gesta che non si sono fermate dopo quel referendum ma sono continuate. Si è presentato alle elezioni del 2018 e in quella occasione è stato eletto da un manipolo di cittadini rimasti affascinati dalle giravolte renziane. E quindi se ce lo ritroviamo in Senato non è tutta colpa sua ma di coloro che, nonostante tutto, hanno continuato a dare credito a questo bell'imbusto. E le sue capriole non si sono fatte attendere. Dopo l'autocrisi causata dall'altro Matteo, quello dei pieni poteri, il Renzi ha costretto il Pd a formare un governo con gli odiati nemici grillini, ha piazzato due sue donne su un paio di poltrone e poi si è (finalmente) allontanato dal Pd formando un suo partitello raccogliendo un numero di parlamentari ben superiore a quanto i sondaggi assegnerebbero alla nuova formazione. Non c'è che dire una mossa strategica non indifferente che può però ottenere credito solo in un paese come l'Italia, il paese che ama i politici che fanno giravolte e capriole come se fossero saltimbanchi. In un paese normale non ci sarebbero stati ben tre governi Berlusconi fondati da leggi e leggine ad personam che hanno portato il paese sull'orlo del fallimento nel 2011. E non ci sarebbe stato nemmeno un personaggio come il Matteo verde colui che, da quando ricopre qualche carica istituzionale (consigliere comunale, parlamentare europeo, senatore, ministro) si è distinto per il suo assenteismo recidivo. Gli italiani hanno mandato in Senato uno che nemmeno la famosa trasmissione "Chi l'ha visto" riesce a trovare sul proprio luogo di lavoro. Ma si vede che il nome Matteo è da un parte un segno distintivo dell'aspirazione da bullo e da sbruffone di chi lo porta, dall'altra un ammaliatore di cervelli ormai incapaci di elaborare un'analisi politica seria. I due Matteo, pur nella loro diversità, sono due facce della stessa medaglia politica ed i più ingenui lo scoprono ora. Il Matteo verde è un "ignorante" politico, poco intelligente, che parla e agisce facendo leva sui più bassi istinti primordiali, incapace di distinguere fra il ruolo di cittadino e quello di ministro e/o senatore, incapacità che lo porta perfino ad usare i figli nella propria propaganda politica e di andarne addirittura fiero. Il Matteo del giglio invece è più raffinato, più intelligente, anche più simpatico ma la sua azione è pervasa dallo stesso egocentrismo e dalla stessa spavalderia dell'uomo verde e come lui, agognerebbe ai pieni poteri incapace come è di stabilire rapporti di collaborazione con chiunque. Ora il Matteo Renzi ed il Matteo Salvini stanno per incrociare le loro strade con il primo ormai indirizzato a far cadere il governo Conte per consegnare il paese in mano alla destra più criminale e pericolosa che il paese abbia mai avuto, con l'intenzione di entrare a far parte del nuovo governo (i punti in comune fra i due Matteo sono diversi: giustizia, sicurezza, evasione, tasse, etc.). Ma forse entrambi dovranno far poi i conti con le giravolte e voltafaccia dei quali entrambi sono maestri, il tutto naturalmente sulla pelle del paese che si sta avviando verso un nuovo baratro.

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