venerdì 24 agosto 2018

Salvimaio puntano il dito sull'Europa ma sbagliano indirizzo


Mentre 150 migranti restano bloccati sulla Diciotti tutto il governo punta minacciosamente il dito verso Bruxelles. Ma l'indirizzo è sbagliato. L'articolo 5 del Trattato sull'Unione europea stabilisce che l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Cioè in parole povere, la Commissione e il Parlamento propongono, ma sono gli Stati membri a dire l'ultima parola sulle leggi che entrano in vigore a livello comunitario. 
Commissione e Parlamento Ue hanno proposto da tempo una soluzione condivisa da tutti i paesi europei alla gestione dell'immigrazione, quello che in sostanza chiede il governo Conte-Salvini-Di Maio. Nel 2015, l'anno in cui l'Europa è stata investita dal flusso migratorio più consistente degli anni recenti, la Commissione ha proposto una revisione dei regolamenti di Dublino che istituisse un meccanismo permanente di redistribuzione dei richiedenti asilo tra i vari Stati membri dell'Unione, fondato su criteri oggettivi (come ad esempio popolazione e Pil). Anche il Parlamento europeo ha presentato una sua proposta di riforma del regolamento di Dublino in cui si prevede un meccanismo automatico di redistribuzione dei richiedenti asilo. Il testo è stato approvato nel 2017 con la maggioranza dei voti dell'Eurocamera, ma con l'astensione della Lega (tra cui lo stesso Salvini) e persino il voto contrario del Movimento 5 stelle. Risultato: la riforma di Dublino è ancora sulla carta.
Il problema è che gli Stati membri non trovano un accordo sulle nuove norme, a partire proprio dalla redistribuzione dei migranti. I più duri nella loro opposizione sono i paesi di Visegrad: Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria, paese quest'ultimo guidato da quel Viktor Orban a cui Salvini guarda per possibili future alleanze. La Commissione europea ha provato a far mettere d'accordo i paesi membri più volte, come lo scorso giugno, quando ha convocato una sorta di pre-vertice in vista del summit dei capi di Stato e di governo proprio sulla questione migratoria. Un summit a cui Conte era arrivato promettendo "compromessi al ribasso non li accetteremo" e al termine del quale aveva dichiarato: "Da questo Consiglio esce un'Europa più responsabile e solidale, l'Italia non è più sola". Ma sembra evidente che, per quanto riguarda la redistribuzione dei migranti, non sia andata proprio così. E' vero, infatti, che nelle conclusioni del vertice europeo è stato messo nero su bianco che i migranti che arrivano in Europa "dovrebbero essere presi in carico sulla base di uno sforzo condiviso e trasferiti in centri sorvegliati istituiti negli Stati membri, unicamente su base volontaria". Ma in nessuna parte si parla di riforma di Dublino e di meccanismi automatici e obbligatori di redistribuzione. Anzi, si dice espressamente su "base volontaria". Comunque le conclusioni di un vertice Ue non sono leggi, ma semplici impegni politici. Sono i ministri dei paesi membri a dare il via libera alle norme e il ministro Salvini, in quanto titolare degli Interni, piuttosto che perdere tempo a scrivere tweet a raffica, avrebbe molto da lavorare per convincere gli altri 26 colleghi a riformare Dublino. E' chiaro quindi che non sono le istituzioni europee a doversi occupare della Diciotti. Sono gli Stati membri, in assenza di nuove leggi, a dover trovare un'intesa (magari non su base volontaria). Se il governo Conte deve prendersela con qualcuno, anche in vista della risoluzione del caso Diciotti, dovrà farlo con dieci capitali e non certo con l'Ue.

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