giovedì 7 ottobre 2021

Psicolabile, emotivamente instabile o politicamente psicogeno: comunque inadeguato a fare politica seria


 Ormai da tre anni a questa parte il leader della Lega, Matteo Salvini, ci ha abituati a tutto ma ogni volta i suoi comportamenti lasciano quantomeno perplessi, degni di un pazzo emotivamente e psicologicamente instabile. Una persona alla quale sarebbe rischioso dare in mano anche l'amministrazione di un condominio figuriamoci governare un paese o comunque far parte di una maggioranza di governo come l'attuale. 
Il buon Salvini vacillò nel 2019 quando, dopo un anno da ministro dell'interno e dopo aver avuti due voti a favore dal governo Conte 1, decise in preda ad una sbornia di mojito che avrebbe dovuto far fruttare subito quel 38% che gli assegnavano i sondaggi. Dalle spiagge della romagna inscenò una conferenza stampa fra tette, alcool e musica da discoteca nella quale annunciava il suo ritiro dal governo. La proposta era che si sarebbe potuto votare in una settimana, magari proprio il giorno di ferragosto, in modo che lui avrebbe avuto pieni poteri direttamente dal popolo. Naturalmente dimostrò subito quello che tutti temevano: prima che non conosceva la Costituzione, secondo che non aveva la minima idea di come funzionasse la democrazia parlamentare in Italia, terzo che non sapeva stare lontano dall'alcool. Quando si ritrovò al Senato vicino a Conte che lo schiaffeggiava (metaforicamente parlando) ebbe un lampo di lucidità e tentò di battere in ritirata, ma Conte, Mattarella e il Parlamento proseguirono per la loro strada dando vita ad un nuovo governo senza lo psicolabile.
Poi arrivò la pandemia e il Salvini diede subito sfogo alla sua instabilità. Inizio a passare dal "bisogna chiudere tutto" alle prime avvisaglie dell'arrivo dell'epidemia, al "bisogna aprire tutto" proprio quando il governo stava chiudendo per tentare di frenare l'epidemia, a mascherine si/mascherine no a seconda di come si esprimeva il governo e così via senza una linea precisa salvo andare contro il governo giallo/rosso.
Quando si iniziò a vedere la luce con i vaccini arrivò in suo soccorso l'omonimo Matteo di Rignano, un altro che in quanto a instabilità la sapeva lunga oltre bugiardo seriale tanto da battere anche il Matteo verde. Eccolo quindi tornare al governo, questa volta senza ricoprire (per fortuna) alcuna carica, ma comunque facente parte della maggioranza. Naturalmente le sue patologie nel frattempo non si erano attenuate ed ha iniziato a far votare ogni provvedimento del governo dai suoi ministri, salvo poi andare contro con le sue dichiarazioni ed a volte anche nelle votazioni in parlamento. E così ha finito per sbroccare un'altra volta: in questo caso non sotto i fumi dell'alcool ma sotto l'effetto dei risultati delle amministrative. Dopo aver girato per mesi tutte le città italiane dove si votava lanciando messaggi tipo "basta la sinistra", "arriva il buon governo" e boiate di questo genere i risultati delle votazione di domenica 3 ottobre l'hanno visto perdente, dietro la Meloni e Fratelli d'Italia e dove i candidati del centro destra hanno vinto si è trattato non di candidati della Lega. Risultato: mentre il governo si riunisce per approvare la delega fiscale già ampiamente discussa in consiglio di ministri, lui non fa partecipare i suoi ministri e inizia a blaterare che il governo prepara una patrimoniale sulla casa. Niente di tutto questo appare sulle carte e Draghi lo smentisce senza nemmeno tanto perdere tempo, ma lui insiste per mettersi in mostra e tentare di recuperare qualche voto almeno ai ballottaggi. Perfino i suoi gli sono contro affermando che se a patrimoniale non c'è, come afferma Draghi, inutile continuare la polemica. Una polemica che però non porta Salvini a ritirare i ministri come nel 2019 perché il rischio di essere di nuovo sbattuto fuori dal governo è concreto, qualcosa forse ha imparato ma un TSO sarebbe la soluzione migliore.

Nessun commento: